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  Mario Nigro negli Anni 50 MARIO NIGRO


Anni Cinquanta


La famiglia riunita nell'orto  
Foto di famiglia
Mario Nigro era il babbo più affettuoso che esistesse. Nonostante il doppio impegno, come farmacista e come artista, trovava sempre il tempo di giocare col figlio Gianni, magari al mare.


INDICE DELLA BIOGRAFIA
  1. Nato a Pistoia
  2. La madre
  3. Il padre
  4. L'infanzia
  5. Livorno
  6. Adolescenza
  7. Laurea
  8. Mineralogia
  9. Farmacia
  10. Lavoro e matrimonio
I primi Anni Cinquanta lo vedono sereno. Ma non troppo. Lavora come Farmacista, presso gli Spedali Riuniti di Livorno ma appena può corre a casa a rimettersi a dipingere. Oppure va al mare, con la famiglia. E con il figlio Gianni, che segue con la massima attenzione ogni gesto compiuto dal babbo.
   Alla mattina si alzava con molta, moltissima calma. Di andare a lavorare all'ospedale non ne aveva una voglia furibonda. Amava traccheggiarsi, magari giocherellare un po' con il figlio, oppure scendere nell'orto a dare una mano al padre, che era in pensione e si dedicava a pomodori e radicchhio.
   Ma alla fine il senso del dovere (o della necessità economica) prevaleva, e Antonio Mario Nigro, da tutti chiamato preferibilmente Mario o Mariolone (non era per niente alto di statura ma i nipoti lo chiamavano lo zio Mariolone per la notevole (per quei tempi privi di anabolizzanti) massa muscolare dovuta ai vari sport a cui si era dedicato ai tempi dell'università, prendeva la bicicletta, una vecchissima e sgangherata bici da passeggio e usciva. A volte Gianni si catapultava giù al portone per salutarlo e per guardarlo allontanarsi fino a sparire là, in piazza Roma, all'incrocio tra piazza Roma e via Mameli, in direzione dell'Aurelia.
   Così si consumavano gli Anni 50 della loro famigliola, ma non era tutta pace e serenità. La tensione, la voglia di tornare a Milano si ingigantiva, nella sua mente. Era un consapevole conoscitore dei propri mezzi e nulla ormai avrebbe potuto ostacolarlo dai suoi piani: i soldi li avrebbe ricavati dal licenziamento dall'ospedale, un certo giro nell'ambiente artistico milanese ce l'aveva già. Avrebbe solo dovuto vincere le resistenze della moglie, che di andare via da Livorno e dal mare non ne voleva neanche sentir parlare, e della madre, che avrebbe visto partire un altro figlio, visto che a Milano c'era già un fratello maggiore di Mario, che faceva l'assistente al Politecnico.
   Già. Tutto era pronto ma nulla era realizzato. E forse, pensava Mario Nigro, nulla era realizzabile. Solo un grumo di sogni, di illusioni.
   Ma sì, al pomeriggio dei giorni di sole (e da febbraio in poi a Livorno di pomeriggio c'è quasi sempre il sole), si gettava tutto alle spalle, non si dedicava né ai quadri né ai farmaci. Sapeva che alla pinetina (una pineta adiacente alla Barriera nei pressi del Cimitero, zona sud di Livorno) i suoi nipoti più grandi e altri ragazzi giocavano interminabili partite di pallone. Afferrava la bicicletta e se ne andava. Non si sa neanche se sua moglie o i genitori sapessero se andava a lavorare. Invece raggiungeva i giovani e sis scatenata in azioni d'attacco finalizzate a fare goal. Perché sì, quella, quella era vera felicità!


Gianni Nigro





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